Flusso
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Autore: Gianna Cappello
Già nei primi anni Settanta Raymond Williams, parlando della televisione commerciale americana, aveva elaborato il concetto di "flusso programmato" per descrivere un tipo di programmazione sequenziale caratterizzata da una "irresponsabile" successione di materiali testuali anche molto diversi tra di loro. Concepiti "fin dalla fase ideativa avendo presente questa sequenza" (Williams, 2000), essi cercano di "agganciare" il pubblico (specie nelle ore di massimo ascolto) e trattenerlo a guardare i programmi (qualunque essi siano) di un dato canale. "Il vero programma che viene offerto è una sequenza o un insieme di sequenze concorrenti di questi o di altri eventi simili, che sono resi disponibili in un’unica dimensione e in un unico atto". Al f. del palinsesto quotidiano si sovrappone non solo il f. degli spot pubblicitari e dei trailer di programmi di prossima visione, ma anche il contesto relativo alle diverse circostanze e modalità di fruizione del testo. In altri termini, parallelamente alla nozione di f. televisivo (unità distinte di programma + inserzioni pubblicitarie) occorre parlare di ‘f. domestico’ e della relazione che si viene a instaurare tra i due, tale che ‘guardare la televisione’ si configura oggi come un’esperienza di fruizione generica e distratta che nomadicamente spazia dal quiz, al telegiornale, alla televendita, al film di prima serata, al talk show di seconda serata, ecc., e questo senza soluzione di continuità, essendo scomparsa o ridotta al minimo ogni forma di intervallo e segnalazione visivo-sonora del passaggio da un programma all’altro.
Il concetto di f. elaborato da Williams condivide molte delle caratteristiche tipiche della neotelevisione dei nostri giorni nella quale la successione dei programmi "non si presenta come una linea, bensì come un parallelepipedo che si espande all’infinito" in altezza (con una programmazione 24 ore su 24), in profondità (con la moltiplicazione dei canali in broadcasting e l’aggiunta del Õ cavo, del satellite, della pay-Tv e pay-per-view television, del computer), e in lunghezza (con l’accentuarsi della serialità) (Bruno, 1994). L’affermarsi della programmazione a f. nasce da diversi fattori tra i quali: l’estensione delle ore di trasmissione, da cui deriva una vera e propria corsa alla moltiplicazione dei programmi; l’avvento delle reti commerciali con la conseguente necessità di introdurre la pubblicità; l’aumento della competizione tra le reti (commerciali e non) per cui diventa vitale trattenere l’interesse del pubblico il più a lungo possibile.
Unitamente a queste trasformazioni del sistema televisivo, il discorso sul f. si riallaccia a una caratterizzazione in senso commerciale di tale sistema e delle sue funzioni. Il f., infatti, tende a sostituire la programmazione per unità discrete nella misura in cui le entrate pubblicitarie di una rete commerciale crescono con il crescere dell’audience e la corsa all’accaparramento di quest’ultima finisce con il governare in modo esclusivo la politica del palinsesto. Pertanto il f. sarà tanto più evidente quanto più ci troviamo in un sistema televisivo in cui l’audience è in ultima analisi diventata una vera e propria merce di scambio tra sponsor e produttori televisivi dalla quale muove e dipende l’intero sistema. Non a caso i Paesi che presentano un alto grado di programmazione a f. sono gli stessi che hanno sviluppato da tempo dei sofisticati sistemi di rilevazione del consumo televisivo dai quali dipendono le sorti di un programma. Essendo questi sistemi basati non tanto sul numero effettivo dei telespettatori né sulla qualità del loro consumo televisivo, quanto sulla quantità dei televisori accesi, la programmazione televisiva si è andata sempre più adattando al f. di un consumo domestico distratto, frazionato, incostante, riducendosi progressivamente a una sequenza di brevi segmenti dotati di una certa coerenza interna e di volta in volta organizzati in unità testuali diverse (Altman, 1987).
Il concetto di f. impone l’adozione da parte dello studioso di una prospettiva di analisi particolare in quanto si tratta di esaminare non tanto (o non solo) i singoli programmi ma l’intero movimento di materiali testuali che fluisce davanti agli occhi dei telespettatori in una singola occasione. In definitiva, il concetto stesso di "testo televisivo" viene a essere ridefinito come un "supertesto" (Browne, 1987) o come una "super-opera aperta" (Bruno, 1994) che, da un punto di vista fenomenologico, si configura in termini di sequenzialità, distrazione e transitorietà e, da un punto di vista semiotico, in termini di complessità, frammentazione ed eterogeneità. L’unità formale di questo supertesto è difficilmente perimetrabile in quanto esso si disperde negli spazi testuali limitrofi, acquisendo una serialità e una processualità che non dipendono "in nulla dalle svolte ‘linguistiche’ impresse da pretesi autori, ma [sono] surdeterminat[e] dalle caratteristiche intrinseche della tecnologia di base". Pertanto l’applicazione del tradizionale metodo di analisi per singole unità testuali può risultare insufficiente ad accertare e concettualizzare la relazione tra un programma e il contesto generale del palinsesto che lo contiene. A questo proposito Sarah Kozloff, ipotizzando la possibilità di applicare le categorie dell’analisi narratologica (Narratologia; Narrazione) alla maggior parte dei programmi televisivi, precisa che alle due dimensioni tipiche di un testo narrativo, la storia (che cosa succede e a chi) e il discorso (il modo in cui la storia viene detta), va aggiunta una terza dimensione, il palinsesto che, attribuendo al testo una certa posizione all’interno della più ampia programmazione della rete, è in grado di influenzare la natura delle altre due dimensioni. Il "supertesto" televisivo si presenta, quindi, come un "puzzle... composto da un insieme di pezzi separati che devono combaciare tra di loro e seguire certe regole standardizzate" (Kozloff, 1992). Tra queste occorre ricordare:
1) la necessità di incastrare i "pezzi del puzzle" all’interno di una casella temporale (time slot) calcolata al secondo, da cui l’interminabile succedersi e ripetersi di eventi insignificanti nelle soap opera e, all’opposto, l’estrema condensazione narrativa degli spot pubblicitari;
2) la necessità di fare spazio alle "interruzioni" (spot, trailer di programmi di prossima visione, televendite, ecc.) adottando una struttura narrativa che costruisce i suoi climax in maniera tale da adattarsi ‘naturalmente’ al sopraggiungere di un’interruzione;
3) la necessità di operare un continuo travaso di personaggi, temi, notizie e atmosfere da un genere all’altro tanto che Kozloff parla di una "diegesi permeabile".
Nonostante la metafora del f. sembri suggerire l’idea di una programmazione televisiva che si dispiega davanti ai telespettatori in un continuum lineare e omogeneo, in realtà il movimento del discorso televisivo è discontinuo e frazionato dall’irrompere di segmenti testuali i più diversi, legati tra di loro da una logica di tipo più associativo che consequenziale. Infatti, le connessioni intertestuali (Intertesto) operano più spesso implicitamente (attraverso il subconscio e il background culturale) che esplicitamente (attraverso relazioni logiche di causa-effetto). Ed è proprio sulla base di queste due caratteristiche tipiche del f. la segmentazione del testo televisivo e la dinamica associativa che ne governa la scansione che si può pensare alla neotelevisione come terreno di elevata (seppure non infinita) apertura polisemica e di intervento interpretativo da parte dell’audience.
Il concetto di f. elaborato da Williams condivide molte delle caratteristiche tipiche della neotelevisione dei nostri giorni nella quale la successione dei programmi "non si presenta come una linea, bensì come un parallelepipedo che si espande all’infinito" in altezza (con una programmazione 24 ore su 24), in profondità (con la moltiplicazione dei canali in broadcasting e l’aggiunta del Õ cavo, del satellite, della pay-Tv e pay-per-view television, del computer), e in lunghezza (con l’accentuarsi della serialità) (Bruno, 1994). L’affermarsi della programmazione a f. nasce da diversi fattori tra i quali: l’estensione delle ore di trasmissione, da cui deriva una vera e propria corsa alla moltiplicazione dei programmi; l’avvento delle reti commerciali con la conseguente necessità di introdurre la pubblicità; l’aumento della competizione tra le reti (commerciali e non) per cui diventa vitale trattenere l’interesse del pubblico il più a lungo possibile.
Unitamente a queste trasformazioni del sistema televisivo, il discorso sul f. si riallaccia a una caratterizzazione in senso commerciale di tale sistema e delle sue funzioni. Il f., infatti, tende a sostituire la programmazione per unità discrete nella misura in cui le entrate pubblicitarie di una rete commerciale crescono con il crescere dell’audience e la corsa all’accaparramento di quest’ultima finisce con il governare in modo esclusivo la politica del palinsesto. Pertanto il f. sarà tanto più evidente quanto più ci troviamo in un sistema televisivo in cui l’audience è in ultima analisi diventata una vera e propria merce di scambio tra sponsor e produttori televisivi dalla quale muove e dipende l’intero sistema. Non a caso i Paesi che presentano un alto grado di programmazione a f. sono gli stessi che hanno sviluppato da tempo dei sofisticati sistemi di rilevazione del consumo televisivo dai quali dipendono le sorti di un programma. Essendo questi sistemi basati non tanto sul numero effettivo dei telespettatori né sulla qualità del loro consumo televisivo, quanto sulla quantità dei televisori accesi, la programmazione televisiva si è andata sempre più adattando al f. di un consumo domestico distratto, frazionato, incostante, riducendosi progressivamente a una sequenza di brevi segmenti dotati di una certa coerenza interna e di volta in volta organizzati in unità testuali diverse (Altman, 1987).
Il concetto di f. impone l’adozione da parte dello studioso di una prospettiva di analisi particolare in quanto si tratta di esaminare non tanto (o non solo) i singoli programmi ma l’intero movimento di materiali testuali che fluisce davanti agli occhi dei telespettatori in una singola occasione. In definitiva, il concetto stesso di "testo televisivo" viene a essere ridefinito come un "supertesto" (Browne, 1987) o come una "super-opera aperta" (Bruno, 1994) che, da un punto di vista fenomenologico, si configura in termini di sequenzialità, distrazione e transitorietà e, da un punto di vista semiotico, in termini di complessità, frammentazione ed eterogeneità. L’unità formale di questo supertesto è difficilmente perimetrabile in quanto esso si disperde negli spazi testuali limitrofi, acquisendo una serialità e una processualità che non dipendono "in nulla dalle svolte ‘linguistiche’ impresse da pretesi autori, ma [sono] surdeterminat[e] dalle caratteristiche intrinseche della tecnologia di base". Pertanto l’applicazione del tradizionale metodo di analisi per singole unità testuali può risultare insufficiente ad accertare e concettualizzare la relazione tra un programma e il contesto generale del palinsesto che lo contiene. A questo proposito Sarah Kozloff, ipotizzando la possibilità di applicare le categorie dell’analisi narratologica (Narratologia; Narrazione) alla maggior parte dei programmi televisivi, precisa che alle due dimensioni tipiche di un testo narrativo, la storia (che cosa succede e a chi) e il discorso (il modo in cui la storia viene detta), va aggiunta una terza dimensione, il palinsesto che, attribuendo al testo una certa posizione all’interno della più ampia programmazione della rete, è in grado di influenzare la natura delle altre due dimensioni. Il "supertesto" televisivo si presenta, quindi, come un "puzzle... composto da un insieme di pezzi separati che devono combaciare tra di loro e seguire certe regole standardizzate" (Kozloff, 1992). Tra queste occorre ricordare:
1) la necessità di incastrare i "pezzi del puzzle" all’interno di una casella temporale (time slot) calcolata al secondo, da cui l’interminabile succedersi e ripetersi di eventi insignificanti nelle soap opera e, all’opposto, l’estrema condensazione narrativa degli spot pubblicitari;
2) la necessità di fare spazio alle "interruzioni" (spot, trailer di programmi di prossima visione, televendite, ecc.) adottando una struttura narrativa che costruisce i suoi climax in maniera tale da adattarsi ‘naturalmente’ al sopraggiungere di un’interruzione;
3) la necessità di operare un continuo travaso di personaggi, temi, notizie e atmosfere da un genere all’altro tanto che Kozloff parla di una "diegesi permeabile".
Nonostante la metafora del f. sembri suggerire l’idea di una programmazione televisiva che si dispiega davanti ai telespettatori in un continuum lineare e omogeneo, in realtà il movimento del discorso televisivo è discontinuo e frazionato dall’irrompere di segmenti testuali i più diversi, legati tra di loro da una logica di tipo più associativo che consequenziale. Infatti, le connessioni intertestuali (Intertesto) operano più spesso implicitamente (attraverso il subconscio e il background culturale) che esplicitamente (attraverso relazioni logiche di causa-effetto). Ed è proprio sulla base di queste due caratteristiche tipiche del f. la segmentazione del testo televisivo e la dinamica associativa che ne governa la scansione che si può pensare alla neotelevisione come terreno di elevata (seppure non infinita) apertura polisemica e di intervento interpretativo da parte dell’audience.
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Bibliografia
- ALTMAN Rick, Television sound in NEWCOMB H. (ed.), Television. The critical view, Oxford University Press, Oxford 1987.
- BROWNE M., The political economy of the television (super)text in NEWCOMB H., Television. The critical view, Oxford University Press, Oxford 1987.
- BRUNO Marcello Walter, Neotelevisione. Dalle comunicazioni di massa alla massa di comunicazioni, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 1994.
- CASETTI Francesco, Patto, patto comunicativo e patto comunicativo nella neotelevisione in Id. (ed.), Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, ERI, Torino 1988.
- FISKE John, Television culture, Routledge, London 1987.
- KOZLOFF S., Narrative theory and television in ALLEN R. T. (ed.), Channels of discourse, reassembled: television and contemporary criticism, University of North Carolina Press, Chapel Hill (NC) 1992.
- SELVAGGI Caterina, La mega televisione, Bulzoni Editore, Roma 1985.
- WILLIAMS Raymond, Televisione. Tecnologia e forma culturale. E altri scritti sulla Tv, Editori Riuniti, Roma 2000 (ed. orig. 1990).
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Note
Come citare questa voce
Cappello Gianna , Flusso, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (25/11/2024).
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